Partendo da Brest
La fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 sono stati un momento di grandissimo rinnovamento politico e di movimento eccezionale. Grandi manifestazioni studentesche, occupazioni di scuole e università, enormi scioperi operai hanno scosso l’Europa da cima a fondo scuotendo vigorosamente le sicurezze che la borghesia di tutto il continente aveva maturato nel secondo dopo guerra.
Essa, da già molti anni aveva tentato di difendersi da ogni forma di cambiamento ricorrendo a diverse forme di autoritarismo (usando la famosa classificazione pasoliniana direi che mentre il fascismo fascista ancora governava alcune zone del continente, tutte le altre erano cadute sotto al giogo del fascismo democristiano) e non esitava ad adoperare la violenza e i media per controllare ed addomesticare la voglia di uguaglianza e democrazia di cui molti giovani si facevano espressione e voce. In questo periodo inoltre aveva luogo o era appena avvenuta la decolonizzazione di molte aree del mondo che l’aggressivo imperialismo occidentale aveva sottomesso per nutrire il proprio bisogno di mercati e materie prime a basso prezzo a scapito della vita, della libertà, del benessere e della cultura dei popoli dei quali quelle terre erano la casa. I temi di un rinnovamento in Europa e della decolonizzazione nel resto del mondo si erano incrociati in molte occasioni e avevano incontrato l’interesse di alcuni di quei popoli, questa volta europei, che attraverso un colonialismo interno (di cui era stata ed era complice spesso anche la borghesia locale) erano stati scippati della propria libertà, della propria cultura, della propria lingua, in definitiva della propria dignità. Così, dopo molti anni di lotte, diversi movimenti in rappresentanza di alcuni di questi popoli decisero di ritrovarsi a Brest, in Bretagna, a condividere le proprie battaglie e a scrivere un documento che potesse aiutarli ad esprimere cosa desideravano per un Europa rinnovata e per la vita della propria gente, era il 3 Febbraio 1974.
Situazione imperialista in Europa
I partiti firmatari d’Irlanda, Galizia, Bretagna, Galles, Euskadi, Paesi Catalani, Occitania, riuniti in conferenza, […] ratificano le tesi iniziali della CARTA DI BREST del 3 Febbraio 1974 […]. Coscienti del carattere universale dell’imperialismo e dell’estrema gravità creata all’interno dei loro paesi dalla permanenza del sistema di oppressione nazionale e sociale qui descritto, dichiarano solennemente la necessità di un’unione tra i popoli oppressi d’Europa.
La carta, in seguito firmata anche da una rappresentanza sarda, intraprende l’esplicazione delle sue tesi a partire dalla descrizione della situazione imperialista che affligge l’Europa, prima spiegando le forme generali secondo le quali esso si manifesta:
01Sotto la forma di un super-sfruttamento diretto, nell’ambito del capitale monopolistico di Stato.
02Sotto la forma dei monopoli europei, che scavalcano sempre più il ristretto ambito dei vecchi Stati europei nella misura in cui avanza l’integrazione capitalistica, nel quadro del Mercato Comune.
03Sotto la forma, infine, delle grandi imprese multinazionali, la cui strategia si basa sull’adattamento alla crisi attuale del capitalismo mondiale di fronte alle difficoltà monetarie.
04Il capitalismo provoca l’instaurazione di un sistema di oppressione nazionale e sociale di cui soffrono, in modi e in gradi diversi, alcuni popoli.
In questo frangente, pur nelle loro particolarità, divide i popoli sottoscrittori in due gruppi principali: Il primo, nel quale sono inclusi popolo Irlandese, Galego, Bretone, Gallese, Sardo, soggetti a vere e proprie forme di colonialismo o neocolonialismo. Il secondo, quello di cui fanno parte Catalogna e Euskadi, ove l’imperialismo si manifesta sotto un aspetto diverso, qui infatti ci troviamo di fronte a un imperialismo di sfuttamento dove il dominio persegue l’obbiettivo della conservazione della riproduzione delle condizioni che permettono l’estrazione permanente di plusvalore.
La questione nazionale e il socialismo
Conclusa la prima parte, la carta passa a discutere di come la questione nazionale e il socialismo possano e debbano andare assieme asserendo con forza che: La lotta di liberazione nazionale è soltanto l’aspetto particolare che assume la lotta di classe nei paesi oppressi e sottoposti ad uno sfruttamento coloniale; la lotta per il socialismo assume, per i nostri popoli, la forma di una lotta di liberazione nazionale.
Denuncia poi alcune forme, considerate di opportunismo, che non comprendono l’importanza della lotta e ne fraintendono il significato. Gli opportunisti di destra (nella sinistra) sostengono la necessità di liberarsi prima nazionalmente e di rinviare l’obbiettivo del socialismo solo a un secondo momento, mentre gli opportunisti di sinistra sostengono la priorità dell’instaurare il socialismo e che la liberazione dei popoli oppressi verrà come naturale conseguenza; la carta sottolinea invece l’importanza del perseguire la lotta sociale e quella nazionale assieme e che l’internazionalismo proletario non significa la negazione dell’esistenza di popoli diversi ma l’affermazione della fraternità e dell’uguaglianza di tutti i popoli del mondo.
Mezzi di lotta rivoluzionaria
Dopo alcune brevi osservazioni sulla violenza degli Stati imperialisti, ove l’emigrazione, la miseria, la rapina delle risorse naturali e la repressione formano lo sfondo dell’imperialismo che tenta sempre, mediante la violenza aperta, di mantenere e giustificare il suo dominio, si afferma il diritto dei popoli oppressi ad opporre ad essa una violenza rivoluzionaria che non può essere mai però risposta di individui irresponsabili ma deve assumere la forma di una lotta politica dura e prolungata. Detto questo, passa agilmente alla conclusione.
Dichiarazione finale
La dichiarazione finale si costituisce di undici punti cardine, elaborati a partire dalle considerazioni precedenti, che vogliono essere base teorica di una prassi rivoluzionaria conseguente nella battaglia per una Europa socialista fondata sull’eguaglianza dei popoli che la compongono.
Dopo aver riaffermato il diritto inalienabile dei popoli all’autodeterminazione (1) e il proposito di lottare contro l’oppressione economica, sociale, politica, culturale (2) e contro tutte le forme che perpetuano la degradazione e lo sfruttamento della persona umana, come fascismo, razzismo, settarismo (3), viene proclamata la necessità della distruzione di tutte le strutture capitalistiche e imperialistiche (5) e dell’istituzione di regimi veramente democratici nelle nazioni liberate (6). Si sottolinea poi l’importanza della lotta per l’uso ufficiale delle lingue e delle culture nazionali, parte integrante della costruzione del socialismo (7) e dopo un appello alla solidarietà tra tutti i popoli oppressi la carta si pronuncia per la costruzione di un Europa socialista di tutti i popoli che la compongono, su un piano di eguaglianza, rispetto e di riconoscimenti reciproci.
Non dubito che qualcuno sarà perplesso sulle tante parole che abbiamo speso nel descrivere il contenuto di questo particolare documento, ma abbiamo buoni motivi.
Il primo è che esso mostra attraverso argute argomentazioni come una sinistra seria e moderna oggi, in Veneto, non possa che farsi portatrice delle tesi dell’Autogoverno. Il secondo, che vogliamo utilizzare questo affascinante documento per esplorare l’Autogoverno in Europa, da sempre legato a doppio filo ai movimenti sociali, alla difesa dei diritti, al progressismo migliore. La carta di Brest ci da un canovaccio da seguire in questa breve esplorazione che, dopo aver toccato le terre di Catalogna, Bretagna, Sardegna, Galles, Euskadi e altre nazioni d’Europa, ci riporterà nel nostro Veneto.
Fonti
Carta di Brest, in francese.
La traduzione in italiano.